Laceno D’Oro, prosegue la retrospettiva dedicata ad Abel Ferrara e alle 20:30 al “Gesualdo” incontro con l’attrice Silvia D’Amico, protagonista del film “Fino a qui tutto bene”

Grande successo ieri pomeriggio per la MasterClass tenuta al Carcere borbonico da Abel Ferrara. Nella splendida cornice di via Dalmazia, il cineasta newyorkese si è intrattenuto con i suoi fan per circa due ore concedendosi generosamente alle tante domande di fan e curiosi sulla sua vasta produzione cinematografica e sulla figura di Pier Paolo Pasolini, al centro del suo ultimo lavoro, che gli è valso il premio “Camillo Marino” alla carriera.

Questa sera, alle 22:30, i riflettori del Laceno d’Oro, festival internazionale del cinema organizzato dal Circolo culturale “immaginAzione”, giunto alla 40esima edizione saranno puntati su Andrea Cosentino che porterà in scena lo spettacolo teatrale “Angelica” attraverso il telemomò, linguaggio di sua invenzione, provocatorio e innovativo, declinato attraverso monologhi ispirati al mondo della fiction televisiva per raccontare una versione degradata della vita.

“Angelica”, per la regia di Andrea Virgilio Franceschi e liberamente ispirato ai testi di Pier Paolo Pasolini, conclude il dittico di Cosentino detto “del presente” composto da “L’asino albino” spettacolo sul tempo che passa e da “Angelica”, appunto, una pièce che affronta il tema universale della morte.

Come al solito non c’è storia. Ogni tentativo di abbozzarne una sfiora la retorica e scivola nel ridicolo. C’è semmai – come e più del solito – il gusto di smontare le storie. Ci sono dunque degli ingredienti, dei brandelli di dialoghi e situazioni abbozzate. Una troupe che sceglie di girare uno sceneggiato televisivo in una casa di un quartiere popolare romano. Un’attrice – Angelica appunto – che continua a recitare la propria morte, fino allo sfinimento. Ciò che si ripete in teatro ci fa ridere. Perché è il passato che pretende di ritornare come niente fosse.

Cosentino gioca con la realtà e la finzione televisiva con un lavoro di montaggio quasi cinematografico, incarna ogni personaggio e condisce il tutto con ricordi personali, con spiazzanti fuori programma in cui trovano posto le processioni del venerdì santo a Chieti con la Madonna che oscilla pericolosamente, un vecchio Papa malandatissimo a cui lanciano bambini che si spiaccicano sui vetri della papamobile e un’arzilla e loquace vecchina che presta la propria verace casa romana per le riprese della fiction.

La pièce teatrale di Cosentino sarà preceduta da altre due proiezioni targate Abel Ferrara.

Alle ore 16:30 verrà proiettato “4:44 Last Days on Earth”, pellicola del 2011 ambientata in una New York sull’orlo della catastrofe che vive il suo ultimo giorno sulla terra attraverso i due protagonisti Cisco, attore di successo, e Skye pittrice e sua compagna di vita.

Alle 18:30, invece, sarà la volta di “Chelsea on the Rocks”, primo documentario del regista newyorkese girato nel 2008 nel leggendario Chelsea Hotel. Luogo simbolo della East Cost che ha visto transitare nelle sue stanze i grandi protagonisti della cultura americana del secondo dopoguerra. Da Dylan Thomas a Sid Vicious, da Arthur Clarke a Bob Dylan, fino ai poeti e gli scrittori della Beat Generation Allan Ginsberg e Gregory Corso.

Si cambia location e si migra verso la platea del “Gesualdo” e la terza giornata dell’Anteprima del Laceno d’Oro entra nel vivo con la proiezione alle 20:30 di “Fin qui tutto bene” di Roan Johnson a cui parteciperà una delle protagoniste della pellicola Silvia D’Amico.

IL PROGRAMMA DI VENERDI 21 AGOSTO

Alle 18:30 al Carcere borbonico, ultimo appuntamento con il cinema di Abel Ferrara con “Mulberry St.”

Alle 20:30, invece, al Teatro “Carlo Gesualdo” verrà proiettato “Cloro” di Lamberto Sanfelice, pellicola in concorso alle ultime edizioni del Sundance Film Festival e al Festival internazionale del Cinema di Berlino. Sarà presente in sala l’autore

Si chiude alle 22:30, di nuovo al Carcere borbonico con “Roma Termini” di Bartolomeo Pampaloni. Sarà presente in sala l’autore

SCHEDE DEI FILM

4:44 – Ultimo giorno sulla terra
Regia: Abel Ferrara
Durata: 85’
Origine: Stati Uniti, 2011
Soggetto e sceneggiatura: Abel Ferrara
Interpreti: Willem Dafoe, Natasha Lyonne, Paul Hipp, Shanyn Leigh
Fotografia: Ken Kelsch
Produzione: Fabula Producciones, Funny Balloons, Wild Bunch
Alle 4:44 di domani la Terra scomparirà, colpita da una catastrofe che la devasterà senza lasciare sopravvissuti. Tutto svanirà per sempre e non è servito a nulla prevedere l’imminente disastro in anticipo. Cisco è un attore di successo che si barrica nel suo appartamento di New York. Con lui c’è la pittrice Skye, la sua compagna. Anche per loro sarà l’ultimo giorno sulla terra. Certo è che Abel Ferrara, arrivato ai sessant’anni, sembra avere ormai passato la soglia della disperazione morale e spirituale che attraversava il suo cinema quando lo scriveva con Nicholas St.John. Lentamente ma con decisione, il suo cinema non ha certo abbandonato le riflessioni e le ossessioni per l’area oscura del nostro immaginario, ma sembra direzionato verso un approccio decisamente più esteriore, quasi antropologico, della deriva umana, piuttosto che scavarne nelle trame della pelle quel sangue sgorgante di un dolore interiore che non conosce più il futuro. Ed è proprio del futuro, o meglio della “fine del futuro” che ci parla questo 4:44, che ci porta in un mondo non troppo lontano da noi dove le previsioni catastrofistiche degli ambientalisti si sono avverate con risultati persino peggiori: il mondo sta finendo. La catastrofe è imminente e irreversibile, e tutti non possono far altro che scegliere come prepararsi a questo evento finale dell’umanità, anche i due protagonisti del film, Cisco, un attore di successo (Willem Dafoe) e Skye (Shanyn Leigh) sua compagna giovane pittrice. Nel loro bel loft con terrazza, scelgono di vivere assieme questi ultimi momenti. Skye in maniera molto più spirituale, dipingendo e facendo yoga, Cisco, alternando rapporti sessuali con la compagna a telefonate via Skype con amici e parenti. Viaggio al contrario, dall’Inferno verso il Paradiso, a Ferrara non resta che la contemplazione misticheggiante o la riflessione sociologica. Il demone non c’è più. Del resto, ormai, “siamo già angeli”.

Chelsea on the rocks
Regia: Abel Ferrara
Durata: 82’
Origine: Stati Uniti, 2008
Fotografia: David Hausen, Ken Kelsch
Abel Ferrara ha celebrato il mitico Chelsea Hotel con il suo primo documentario della carriera. “A rest stop for rare individuals”. E’ il motto di questo luogo leggendario. Perché il Chelsea Hotel è quello in cui nel 1953 il residente a lungo termine Dylan Thomas partì per l’ubriacatura che gli risultò fatale, in cui Sid Vicious accoltellò la fidanzata Nancy Spungen, in cui Arthur Clarke scrisse 2001 Odissea nello Spazio, Bob Dylan compose Sad Eyed Lady of the Lowlands, Allen Ginsberg e Gregory Corso si incontravano per scambiarsi parole e poesia. L’hotel del quale The New York Times Book Review ha scritto che “si può considerare uno dei pochi luoghi civilizzati della città, se per civiltà si intende la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l’arte”. Un mito della storia recente insomma, newyorkese ma non solo. Sul quale, però, cala il sipario. L’hotel cambia di mano, e diventa albergo di lusso. Costruito nel 1883 con dodici piani di appartamenti per 40 famiglie (la prima coop di Manhattan), restò fino al 1902 l’edificio più alto di New York. Nel 1905 divenne hotel per clienti a lungo termine. Nel corso della sua lunga vita ci hanno abitato, o sono comunque passati di lì, Mark Twain e O. Henry, Jack Kerouac e Arthur Miller (che ci scrisse After the Fall), Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, Tom Wolfe e Gore Vidal, Patti Smith che divise una stanza con Robert Mapplethorpe. Abel Ferrara incontra ed intervista chi e’ rimasto fino alla fine e ritrova Dennis Hopper, Milos Forman, Ethan Hawke, Grace Jones, Vito Acconci. Ricostruisce con la fiction alcuni eventi emblematici del passato, sporca le immagini come fossero un grido disperato e quasi senza speranza, attraversa i corridoi e le stanze come stesse girando un horror, si perde e si ritrova continuamente. Magnifica stratificazione, in cui Abel Ferrara, si fa anima contemporanea dello sguardo perso nel vuoto, dello sguardo ritrovato per un istante, per poi ricadere verso il cuore.

Fino a qui tutto bene
Regia: Roan Johnson
Durata: 80’
Origine: Italia, 2014
Soggetto e sceneggiatura: Roan Johnson, Ottavia Madeddu
Interpreti: Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D’Amico, Guglielmo Favilla, Isabella Ragonese
Fotografia: Davide Manca
Produzione: Roan Johnson
La sua esibita povertà è la sua forza. La sua semplicità, per certi aspetti anche la sua ingenuità, dà una bella ventata d’aria fresca al cinema italiano. Fino a qui tutto bene è l’altra faccia degli ‘immaturi’ di Paolo Genovese o di quelle commedie sui giovani post-universitari in crisi. E per certi aspetti, nelle luci di Pisa, nel modo in cui è vissuto quell’appartamento dove i cinque ragazzi che ci hanno vissuto e studiato per anni e ora ci stanno trascorrendo l’ultimo fine settimana, e rimanda più a certe commedie francesi, dal modo in cui l’abitazione muta nel corso del film (da Travaux. Lavori in casa di Brigitte Rouan a Il mio migliore incubo! di Anne Fontaine) al rapporto con quello spazio visto come provvisorio che però poi rappresenta un pezzo di vita determinante del loro pecorso di L’appartamento spagnolo di Cédric Klapisch. Il cinema di Johnson ha un innato senso del ritmo, entra nelle zone di una comicità che combacia anche con quella toscana senza mai farla diventare facile punto d’approdo. È un cinema che è anche in fase di evidente crescita. Il momento in cui i protagonisti vanno su quella curva di una strada in cui è morto un loro amico o il dialogo illusorio tra l’attrice e il suo ex, portano dentro anche quelle zone di febbrile malinconia dove stavolta ciò che si perde non è vissuto al passato ma al presente. Come se quello di Fino a qui tutto bene fosse già una specie di ‘grande freddo’ che si sta vivendo prima che sia finito.

 

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