Avellino, XL Laceno d’Oro domani spazio al film “Timbuctu” trionfatore a Cannes
Annoiarsi al Laceno d’Oro è praticamente impossibile: tanti, e per tutti i gusti, gli appuntamenti previsti al Festival internazionale del Cinema che continuerà fino al prossimo 30 settembre tra Avellino e otto comuni irpini.
La giornata di domani, 26 settembre, sarà ancora una volta molto ricca.
Si comincia alle 18, al Carcere Borbonico di Avellino, con un focus dedicato al regista e sceneggiatore Salvo Cuccia che, in anteprima nazionale presenterà “Hippie Sicily”.
A seguire sarà proiettato “1982. L’estate di Frank” dedicato a Frank Zappa.
Al termine è previsto un incontro con l’autore e con Massimo Bassoli (biografo di Frank Zappa e autore e voce di “Tengo ‘na minkia tanta”).
Doppio appuntamento anche con il concorso “Gli occhi sulla città”: i corti presentati saranno proiettati a partire dalle 19,30 presso il Godot Bistrot di Avellino e dalle 20,30 presso l’auditorium comunale di Ariano.
Sempre ad Ariano, al termine della visione dei corti, intorno alle 21, spazio al film “Timbuctu” di Sissako e trionfatore al Festival di Cannes del 2014 dove ha fatto incetta di statuette.
Alle 21,30 invece presso il teatro 99 posti di Torelli di Mercogliano ci sarà “Le notti di Chicago” di Joseph Von Sternberg.
Un grande classico del cinema muto risonorizzato da Massimo Barrella con un percorso musicale di grande tensione espressiva e varietà di stili.
Dalle 23 infine al Godot Bistrot di Avellino si apre la notte con un omaggio al maestro Wes Craven, il creatore di Nightmare.
Tutte le informazioni sono sul sito www.lacenodoro.it
SCHEDA DI HIPPIE SICILY
Regia: Salvo Cuccia
Produzione: Eleonora Cordaro
Aiuto regia: Federica Cuccia
Musiche: Dweezil Zappa, Airfish, Giorgio Trombino
Suono in presa diretta: Luca Bertolin, Davide Pesola, Giorgio Ghisleni
Fotografia: Clarissa Cappellani
Montaggio: Letizia Caudullo
Scritto da: Eleonora Cordaro, Matteo Miari, Salvo Cuccia
Nel 1970 Carlo Silvestro, giornalista e poeta, e la sua compagna Silvia Fardella fondarono una comunità hippy a Terrasini, vicino Palermo, a villa Fassini, un edificio in stile liberty. La comune ospitò nel giro di pochissimo tempo giovani provenienti da varie parti di Italia, Europa e anche dagli USA e fu frequentata da artisti, attori del Living Theatre e, tra gli altri, da Paola Pitagora, Giuliana De Sio, Teresa Ann Savoy e musicisti come Eugenio Finardi, Claudio Rocchi, Alberto Camerini, e personaggi come Andrea Valcarenghi, Guido Daniele, Matteo Guarnaccia, Don Cherry e tanti altri. Ebbe scambi di alterna fortuna con gli abitanti di Terrasini, un paese ancora legato ad antiche tradizioni. Il documentario – arricchito dai preziosi repertori cinematografici in gran parte inediti di Alberto Grifi, autore e regista tra i massimi esponenti del cinema sperimentale italiano – racconta del sentire di quegli anni e del contesto underground italiano e internazionale in cui l’idea di vita comunitaria prende vita. Legata a Re Nudo e alle esperienze creative degli anni ’70, fino al Festival di Parco Lambro, la comune si dissolve nel ’78, anno in cui Carlo e diversi altri personaggi si trasferiscono definitivamente in India, nella “grande comune” di Osho a Pune.
Una produzione Abra&Cadabra in collaborazione con Associazione Culturale ALBERTO GRIFI, Sky ARTE HD, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – MIBACT – Direzione Generale Cinema, DPS – Agenzia per la Coesione Territoriale, Regione Siciliana – Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo , Sensi Contemporanei, Sicilia Film Commission
SCHEDA DI TIMBUCTU
Regia: Abderrahmane Sissako
Durata: 97’
Origine: Francia, Mauritania, 2014
Soggetto e sceneggiatura: Abderrahmane Sissako
Interpreti: Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki
Fotografia: Sofian El Fani
Produzione: Sylvie Pialat
Da Bamako a Timbuctù, Sissako continua ad attraversare l’asse del Mali (e del male?), dal centro nevralgico (malato) della capitale alle mitiche radici tuareg e alle porte dei rivolgimenti contemporanei: le guerre che imperversano nel nord del paese e le pesantissime ingerenze di un fondamentalismo islamico “invasore”. L’attualità è d’obbligo, ma, come forse è normale in Africa, è quasi un’eco che si perde in un tempo immobile. E, in effetti, anche per Sissako, pur essendo trascorso quasi un decennio da Bamako, le esigenze non sembrano cambiare: il punto è sempre quello di definire una logica “processuale” del cinema, che stabilisca un contraddittorio, una discussione aperta, critica sui fondamenti delle leggi del potere in nome di una più profonda esigenza di giustizia. In fondo, Timbuktu è un film che poggia per intero sul terreno di frizione tra la norma e il senso, l’imposizione della condotta e la logica della tradizione, l’indifferenza della regola e le ragioni del cuore. E i tanti episodi di vita quotidiana della città occupata, da quelli più piccoli a quelli più tragici, sembrano delineare una dimensione assurda, una specie di bolla del tempo, in cui, a seconda dei punti di vista, il contemporaneo è una tentazione o una necessità naturale, il passato è una fuga cieca o una tradizione vitale. Timbuktu, con le sue case di fango “patrimonio dell’umanità” e fuori dalla storia, è lo scenario perfetto di questa sospensione. E, l’immagine è il terreno fondamentale del conflitto, quello conteso tra la protervia del controllo pubblico e la necessità vitale di uno spazio privato. Le icone vanno frantumate, ma solo per stabilire
la preminenza di altri dei. Non dare a vedere più di quanto la regola non ti consenta, ma fatti vedere. L’immagine è la tentazione e la colpa. Il desiderio che si materializza in un miraggio minaccioso, come quel ciuffo d’erba che emerge tra le dune come un monte di Venere.
dal Festival di Cannes 2014 – ha conquistato in totale sette statuette (miglior film, regia, musiche, montaggio, suono, fotografia e soggetto) nella quarantesima edizione dei César