Irpinia: il triste primato dei suicidi
“Nel destino di ogni uomo può esserci una fine del mondo fatta solo per lui. Si chiama disperazione.”(Victor Hugo, L’uomo che ride, 1869)
Udite!!! Udite!!! Alla provincia di Avellino spetta, almeno dal 2005, un primato. E, purtroppo, non sto parlando della migliore tifoseria di calcio di tutta Italia. Ma mi riferisco, invece, almeno nell’ambito di tutto l’Italia meridionale, ad un triste primato: quello dei suicidi. L’Irpinia è, come se non bastasse, anche seconda per i tentativi di suicidio. Ed il primato tocca maggiormente il sesso maschile. La vicina provincia di Napoli è, viceversa, penultima nella graduatoria nazionale dei suicidi. Pensate: per ogni suicidio in provincia di Napoli, se ne verificano ben trenta in Irpinia. Questi dati sono forniti dall’ISTAT. Ma quest’ultimo raffronto, mi fa pensare che la causa maggiore sia la perdita della dignità dell’individuo; che è un valore da cui la gente d’Irpinia non può prescindere.
La società impone i suoi schemi, ed i problemi devono rimanere nascosti. La cronica mancanza di dialogo costringe molti depressi a tenersi tutta la negatività al proprio interno. A questo punto è facile preferire la strada del silenzio eterno piuttosto che continuare a credere nella vita.
Mi verrebbe da dire, per quello che è dato di sapere, che l’ultimo dei tre suicidi (che in poco più di una settimana si sono verificati in Irpinia) si può intitolare: “cronaca di una morte annunciata”.
In una città in cui la vita è diventata talmente triste che la gente non ha più voglia di vivere, il “Ponte della morte” assume un’attrazione fatale, quasi una soluzione istituzionalizzata, che viene presa a fior di pelle. Possiamo, almeno con un volo pindarico di fantasia, cambiare la “destinazione d’uso”, mettere delle protezioni architettoniche e, magari, farlo diventare “IL Ponte dell’amore”, in occasione della ricorrenza del 14 febbraio.
Le motivazioni a base dei suicidi sono tante: mancanza di lavoro, miseria, degrado familiare, isolamento sociale, perdita della propria identità e dei riferimenti sociali e culturali.
I dati dell’ISTAT non rispondono alle domande delle possibili motivazioni del primato dei suicidi di Avellino. Ma quali sono le risposte che forniscono le istituzioni? Mi domando, ma è mai possibile che, per un siffatto primato, almeno dal 2006, nessuna istituzione abbia manifestato l’intenzione di affrontare questo grave fenomeno, che ormai è diventato un vero e proprio problema sociale. Troppo silenzio. Un silenzio che urla. Il numero degli psicologi nelle strutture pubbliche è quasi zero, a fronte di questo triste primato; e mancano totalmente strutture pubbliche di ascolto, dove queste persone si possono riunire, ascoltarsi a vicenda e sfogare tutta la propria disperazione.
Si, la disperazione che è pertanto la malattia mortale comune a tutti i suicidi, “non perché conduca alla morte dell’io, ma perché è il vivere la morte, l’annullamento dell’io. E’ un’autodistruzione impotente (Soren)”.
La Dama rosa