Accadde oggi “Tu quoque, Brute, fili mi”

Presagi, tradimenti e coraggio. Sembra la trama di una fiction anche abbastanza banale. E invece non lo è. Perchè  questi  3 ingredienti fanno da condimento a  un evento cruciale per la storia di Roma:  l’assassinio di Giulio Cesare, avvenuto  il giorno delle idi di Marzo, ovvero il 15 marzo del 44 a.C.   Secondo la tradizione  la morte di Cesare, console e padrone dell’ Urbe,   fu preceduta da un incredibile numero di presagi:  si videro bruciare fuochi celesti, volatili  solitari giunsero nel foro, si udirono strani rumori notturni e alcuni incubi turbarono il sonno di sua moglie Calpurnia. Ma soprattutto nello stesso periodo fu riportata alla luce la  sepoltura del fondatore di Capua, Capi, e sulla lapide tombale fu rinvenuta la scritta: “Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l’Italia”.

L’ASSASSINIO-  Nonostante questi prodigi infausti e gli scongiuri di Calpurnia, Cesare decise comunque  di recarsi in senato. Una volta entrato  si andò a sedere al suo seggio. Subito fu attorniato dai congiurati che finsero di dovergli chiedere grazie e favori. Mentre Decimo Bruto intratteneva il possente Antonio fuori dalla Curia, per impedirgli di correre in soccorso di Cesare, al segnale convenuto, Publio Servilio Casca Longo  sfoderò il pugnale  colpì il console al collo, causandogli una ferita superficiale e non mortale. Cesare , per nulla indebolito, cercò di difendersi con lo stilo che aveva in mano. Secondo alcune fonti,  Cesare apostrofò l’attentatore così: Scelleratissimo Casca, che fai? . Secondo altre  gridando Ma questa è violenza! Casca chiese aiuto al fratello e tutti i congiurati, che circondavano  Cesare,  si scagliarono con i pugnali contro il loro obiettivo.  Cesare tentò inutilmente di schivare le pugnalate dei congiurati, ma comprese subito  che non aveva via di scampo.

IL TRADIMENTO-  Poi  vide anche Bruto venirgli incontro e pugnalarlo. Allora Cesare  raccolse le vesti per pudicizia e si coprì  il capo con la toga prima di spirare, trafitto da ventitré coltellate. Cadde ai piedi della statua di Pompeo. Prima di morire, ebbe il tempo di  pronunciare alcune parole rimaste nella storia: “Tu quoque, Brute, fili mi”! (in latino, “Anche tu Bruto, figlio mio).  Secondo alcuni storici, se non fosse stato eliminato dai congiurati del partito aristocratico, probabilmente Cesare avrebbe trovato il modo per farsi eleggere imperatore. Ma questa sorte toccò a un suo parente: Quell’ Ottaviano  adottato proprio da Giulio Cesare.

Mariano Messinese

Twitter:@MarianoWeltgeis

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