Avellino: la Be Food Gallery espone “APOLIDE”, personale di Cristina Milito Pagliara

Cristina Melito Pagliara nasce a Salerno nel 1983. Laureata in architettura, collabora con il designer Roberto Monte a progetti di allestimento eventi e mostre, e con la curatrice d’arte Antonella Ferraro. Lavora nell’associazione teatrale Teatro Grimaldello, come performer, realizzando anche gli oggetti scenici delle scenografie di alcuni spettacoli. Da circa un anno, disegna e realizza piccoli oggetti, sperimentando l’uso del cemento.
Apolide è un progetto estrapolato da un unico impasto nativo, ma dalla resa composita ed eccezionalmente panoramica. Le opere sono realizzate quasi esclusivamente in cemento unicellulare, materiale con cui l’artista ha una familiarità infantile e casereccia e che si presta straordinariamente bene alle invasioni di quegli elementi che vi incorpora all’interno, con la ferma intenzione di cavare e penetrare, continuamente, le cose.
Il percorso espositivo è sostenuto da una forte spinta edilizia, una voglia di costruire, edificando tuttavia lo spazio di natura e il clima, il sopra e il sotto dell’orizzonte. I blocchi monolitici, che si stagliano a diversa altezza a fondare forse una città, hanno nella pasta colorata che li compone il viatico per superare quella fermezza di casa, di comunità, diventando in realtà montagna, orizzonte vago.
Il vero centro del lavoro di Cristina Milito Pagliara è un’idea necessaria di allontanamento, come un distacco naturale dalle cose autoctone e scontate. Sorprende tuttavia che l’artista sia pienamente dentro la terra e che ne abbia ricevuto un’educazione rurale, che la spinge a piegarsi e ad aspettarsi frutti, conoscendo perfettamente il compatto sostegno che può offrire, il necessario legame alimentare e umano che ad essa lega ogni stagione.
Ma “Apolide” compie un salto in avanti – forse meglio rappresentato dall’immagine di una crescita verticale – proponendo un rapporto non più vitalizio con questa terra che è fermezza e stasi, mentre dal ventre delle case-madri in cemento, ormai cadenti, si stacca il lungo corteo di esuli in migrazione. Un andarsene dunque netto, sebbene al principio claudicante, come appaiono le piccole case-dente appena venute fuori in successione.
L’artista conserva però un amorevole attenzione per l’origine delle cose, per la radice che nutre e si dirama al buio, moltiplicando i suoi anni e la solidità della sua costruzione in resina trasparente, in cui ogni esperienza dipende da quella sola base ramificata.
Quel peso centrale che è dentro ciascuno, forse già prima di ciascuno, è evidenziato, mai dimenticato e quasi esaltato dalla Milito Pagliara che descrive, attraverso l’utilizzo geniale del filo a piombo, la pesantezza, il grave che l’apolide, l’individuo naturalmente porta con sé.
Più intimista è la sezione delle Scatole, realizzate per la maggior parte in cartone, la cui struttura coinvolge diversamente, spingendo a guardare meglio, più a fondo e più da vicino, le singole emozioni che ciascuna di esse esprime. Intraducibile è la tenera tristezza a cui inducono le scatole di latta, crudelmente violentate con chiodi e martello.
Dunque una personale intima e politica, che costruisce nuovi organi per nuove capacità di movimento eppure silenziosamente ragionata, consapevole che l’andare è sempre un andare temporaneo, un procedere per ritornare, forse.

 

Loading