Lo scrittore Franco Arminio ed i suoi paesi: “C’è chi sta fermo e chi va lontano. Io seguo un’altra strada: viaggio nei dintorni”.

Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, poeta, scrittore e“paesologo” (la scienza che studia i paesi, partendo dall’idea che ogni paese è diverso dall’altro) .

 Spende le giornate visitando piccoli paesi: “Quasi ogni mattina vado a trovare qualche paese come si va a trovare un vecchio zio, vado a vedere che faccia ha, a che punto è la sua malattia o la sua salute.C’è chi sta fermo e chi va lontano. Io seguo un’altra strada, viaggio nei dintorni”.

Parcheggiata la macchina, il suo itinerario si snoda tra la piazza, il bar, il municipio, la scuola, il cimitero, insomma tutti i posti dove si entra gratis. Parla con il sindaco, il vigile, il geometra comunale, la barista, i vecchi pensionati, i nullafacenti, i matti. Guarda le macchine che passano, mangia un panino comprato nel negozio di alimentari (“Con due euro panino e grande bottiglia d’acqua minerale, due euro da consumare al sole, costa poco stare in piedi, con due euro qui puoi stare in piedi un’intera giornata”). Qualche volta compera una cartolina. Poi torna a casa.

I paesi di cui scrive Arminio sono paesi che non li visita nessuno, salvo gli emigranti che vi tornano d’agosto a ostentare fortune accumulate altrove. Il lavoro dei campi non interessa più, o quasi, ed è sinonimo di un passato di povertà. Rare le fabbriche. L’economia locale vive di pensioni d’anzianità. Erano un tempo paesi poveri. Oggi gli abitanti hanno tutto il necessario, e anche oltre, ma hanno perduto la loro ragione di stare al mondo: “Il vecchio alfabeto del paese ha perso ogni lettera. Dalla a di asino alla z di zappa, passando per la m di mulo, per la p di pecora, per la c di contadino. Il nuovo alfabeto sembra cominciare dalla lettera d, dalla desolazione.”

 Il centro storico si svuota e  le case si distribuiscono lungo le strade d’accesso, separate le une dalle altre. Piccoli regni autosufficienti, la cui affermazione cancella i riti della vita di “comunità” . La macchina è sempre pronta: mezz’ora di curve bastano per raggiungere la città vicina  o un centro commerciale. E anche il “paesologo” del resto, per esercitare la sua scienza, deve muoversi in macchina.

 Mi sposto verso Sant’Andrea. Altro paese, altro silenzio. Nessuno in giro. Prima si vedeva gente in giro anche quando il tempo era brutto. Adesso le case sono calde e comode. E dentro c’è il televisore per i vecchi e per i bambini. C’è il computer per i giovani. Dentro il bar c’è sempre qualcuno che non sta bene”.

 A leggerlo mette una malinconia infinita. Dopo una storia di secoli, e a volte millenni, i paesi sono giunti alla fine della loro esistenza? Hanno esaurito la loro funzione in un mondo sempre più urbano? Sembra sia così. Oppure è possibile ripartire da qui, e immaginare che in un futuro, per quanto poco probabile, le giovani coppie torneranno a  ristrutturare e popolare le case addossate le une alle altre, e le piazze rivedranno nuovamente giochi di bambini?

 

Le frasi virgolettate sono tratte dal libro  “Vento forte tra Lacedonia e Candela”di Franco Arminio

Francesco Aufiero

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