Martedì 13 febbraio al Godot Art Bistrot appuntamento imperdibile con la band americana Cool Ghouls
Martedì 13 febbraio alle 22, sul palco del Godot Art Bistrot, in via Mazas ad Avellino, un altro appuntamento imperdibile con la band americana Cool Ghouls.
Si tratta di uno dei quartetti più promettenti nella sempre viva scena di San Francisco, fino a ieri etichettabile come interessante ma non certo tra gli indispensabili della categoria, a prefigurare una svolta, nel loro caso, è stata la scelta di affidare la produzione dell’ultimo album – «Animal Races» – a uno dei padrini della Bay Area, Kelley Stoltz, che ha registrato il disco direttamente nel suo Electric Duck studio coadiuvato da quel Mikey Young (australiano, uno dei Total Control) che aveva già lavorato con loro per il notevole predecessore, «A Swirling Fire Burning Through The Rye», oltreché con Twerps e Royal Headache.
Dalle sonorità più sporche e psichedeliche à-la Black Lips, di fatto un’attualizzazione dell’epopea Nuggets, i Cool Ghouls hanno operato un progressivo raffinamento verso un power-pop a tutto tondo, baldanzoso e fragrante, alla maniera di Gentleman Jesse: vocalismi e chitarre jangle fedeli al canone byrdsiano, basso puntiglioso in primo piano, linee pulite e scorrevoli improntate a un placido revival tardi sixties davvero sicuro del fatto suo.
Al di là della pedissequa riproposizione di uno stile, si apprezzano anche un songwriting particolarmente incoraggiante e un’innata propensione alla melodia che tende al prodigioso, qualità che non possono essere derubricate chiamando in causa solo una diligente applicazione di codici espressivi, pure innegabile, poiché si impongono piuttosto come la fonte primaria di una vera delizia per le orecchie (non necessariamente dei soli passatisti intransigenti).
Altrove il richiamo a un’ideale macchina del tempo si fa esplicito, esaltato dall’immersione in una fotografia sovraesposta, riverberatissima, un consesso di Rickenbacker chiamate a macinare terreno su terreno con disinvoltura impressionante, nonché un affaccio sbalorditivo su un passato musicale ormai prossimo alla pura mitologia. E in queste esplorazioni c’è grande dolcezza pure al di là della malinconia tipica degli sguardi beatamente orientati al disincanto