Michelangelo Buonarroti, 540 anni dalla nascita: un mito che va oltre i secoli
Un duello con la materia, con la pietra, col marmo: era questa l’idea di arte che Michelangelo Buonarroti coltivava dentro di sé. Non sapremo mai se l’artista toscano, che si considerava uno scultore e non un pittore, e che fu talmente poliedrico da eccellere anche nell’architettura e perfino nella poesia, fosse fino in fondo consapevole della sublime grandezza e dell’eternità del suo genio creativo. A raccontarne l’eccezionalità è Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, che in esclusiva per l’ANSA ha aperto le porte della Cappella Sistina proprio nel giorno in cui si celebrano i 540 anni dalla nascita di Michelangelo, avvenuta a Caprese (a pochi chilometri da Firenze) il 6 marzo 1475: “Per capire la sua fortuna costante, universale e internazionale, e lo stupore delle donne e degli uomini di tutto il mondo bisogna entrare qui, in questo luogo che celebra la sua gloria – spiega Paolucci – perché chiunque, gente di ogni religione o di nessuna, nella Cappella Sistina avverte chiaramente una specie di rombo del sacro, il respiro della divinità e della storia”.
Impossibile sintetizzare in semplici tappe una vita così lunga e così densa di eventi e significati come quella vissuta da Michelangelo, che morì alla vigilia dei 90 anni da acclamato Maestro; eppure la sua evoluzione artistica, dalla giovinezza alla maturità, ha toccato ogni volta vertici altissimi, e sempre diversi: dalla Pietà “che sta in San Pietro, realizzata quando era un ragazzo, a 24 anni – fa notare il direttore – alla Cappella Sistina, con la volta affrescata fra il 1508 e il 1512, fino ai suoi anni tardi, quando, ormai vecchio, lavora al Giudizio finale inaugurato nel 1541”.
Un elenco che, sebbene particolarmente significativo, risulta senz’altro del tutto parziale. E che non contiene, per esempio, quello che si potrebbe definire il Michelangelo sconosciuto o quanto meno segreto: “Esiste un Michelangelo che nessuno vede perché si trova nella Cappella Paolina, che è quella riservata al Papa, dove non si può entrare senza autorizzazione”, racconta Paolucci. Fino ai suoi ultimi giorni, tutta la vita di Michelangelo ruotò sempre attorno alle due città più amate: “Firenze, dalla quale tuttavia scappò per non sottostare al dominio autocratico dei Medici – continua – e Roma, dove fu al servizio dei papi, in particolare di due, Giulio II della Rovere e Paolo III Farnese”.
Fu proprio il rapporto con il potere, con i papi ma anche con illustri personaggi suoi contemporanei, uno dei tratti distintivi della sua vita: “Anche i grandi hanno le loro debolezze e Michelangelo aveva l’ossessione del denaro”, prosegue, “viveva poveramente, dormiva vestito, si nutriva con 3 etti pane e una fetta di formaggio al giorno, non aveva moglie né figli, ma ogni soldo lo metteva da parte per suo nipote a cui lasciò un patrimonio in denaro liquido valutabile oggi in almeno 10 milioni di euro”.
Tenace e sempre tormentato, se dal lato umano Michelangelo era “assolutamente sgradevole, dal temperamento collerico e misantropo, con cui era difficile andare d’accordo e meno che mai lavorare”, racconta Paolucci, era tuttavia dotato di un talento così naturale da sembrare quasi un miracolo divino. Ma, come precisa il direttore, “nessuno sta fuori della Storia, neanche Michelangelo Buonarroti: lo si capisce proprio qui nella Cappella Sistina, osservando gli affreschi che non sono opera sua ma di artisti che lui ebbe modo di conoscere personalmente da giovane, come Perugino, Ghirlandaio, Botticelli”, afferma, “è da loro che Michelangelo ha imparato il mestiere. Lui non nasce dal nulla, e qui si possono vedere le sue radici storiche e tecniche”.
La tecnica, il talento e l’arte, sui quali è lo stesso Michelangelo a offrire ai posteri le sue riflessioni, nella sua veste forse meno celebrata ma altrettanto fulgida di poeta: “E’ uno dei grandi poeti della letteratura italiana – sottolinea – e mi vengono in mente quattro suoi versi che sono un manifesto artistico: Non ha l’ottimo artista alcun concetto/ c’un marmo solo in sé non circoscriva/ col suo superchio, e solo a quello arriva/ la man che ubbidisce all’intelletto”. In altre parole, conclude, “l’opera d’arte esiste già nella testa dell’artista, sta dentro il blocco di marmo, il suo compito è solo quello di far saltar via a colpi di martello l’involucro che chiude l’idea. Basta questo per far capire la grandezza, anche speculativa e filosofica, di Michelangelo Buonarroti”.
Da Ansa.it